IL TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE 
                        Sezione prima penale 
 
    In composizione  monocratica  nella  persona  del  Giudice  dott.
Stefano Sernia 
    Vista la istanza, depositata in data 05.08.2013, con cui il dott.
M.M.  ha  chiesto  la  liquidazione  del  proprio  compenso,   avendo
depositato relazione scritta ed esaurito il suo  esame  peritale,  in
esito all'espletamento dell'incarico  peritale  conferito  da  questa
A.G.  e  relativo  alla  persona  dell'imputato  L.E.,   ammesso   al
patrocinio a spese dello Stato, con  riferimento  alla  imputabilita'
all'epoca dei fatti; 
    Escusso il perito  all'udienza  del  07.02.2014  ed  apprezzatane
positivamente   la   completezza   dell'indagine   e   l'esaustivita'
dell'accertamento, ha pronunziato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
A. La liquidazione ai  sensi  dell'art.  24  del  D.M.  30.05.2002  e
dell'art. 106-bis d.P.R. 105/2002. 
    Al dott. M. e'  stata  affidata  indagine  tecnica  riconducibile
sotto la previsione dell'art.  24  D.M.  30/5/2002,  che  prevede  un
compenso oscillante tra un minimo di euro 96,58 ed un massimo di euro
387,86 (inferiore alle tariffe professionali spesso previste per tali
attivita',  attesa  la  natura  pubblicistica  dell'incarico   e   la
conseguente natura indennitaria del compenso corrisposto  al  perito,
come previsto dall'art. 50 co. 2 del d.P.R. 115/02: «Le tabelle  sono
redatte  con  riferimento  alle  tariffe   professionali   esistenti,
eventualmente  concernenti  materie  analoghe,  contemperate  con  la
natura pubblicistica dell'incarico»); per tali  accertamenti  non  e'
prevista una liquidazione a vacazioni, ma ad onorario  variabile,  la
cui  determinazione  concreta  va   operata   tenendo   conto   della
complessita' dell'incarico e del pregio dell'accertamento. 
    Va quindi rilevata la non minima complessita' dei quesiti, avendo
dovuto il perito sottoporre ad esame diretto il  periziando  per  due
volte, assumendo informazioni ed esaminando anche le  sue  sorelle  a
verifica del contesto socio culturale di provenienza del periziando e
della possibile influenza  dello  stesso  sulla  sua  interpretazione
paranoidea  degli  eventi;  e  va  altresi'  apprezzata  la  qualita'
dell'accertamento peritale (la relazione e' esaustiva e ben motivata,
l'accertamento appare essere stato condotto con scrupolo,  attenzione
e  completezza).  Si  ritiene  quindi  che,  nel   contemperare   gli
indicatori di  complessita'  di  cui  ai  capoversi  precedenti,  sia
congruo liquidare la somma di euro 240,00. 
    Sono state altresi' documentate, come da fattura, spese per  euro
205,81 per competenze dell'ausiliario  (psicologo  che  ha  proceduto
alla somministrazione di test psicodiagnostici al  periziando)  della
cui  opera  il  perito  era  stato  debitamente   e   preventivamente
autorizzato  ad  avvalersi.  Va  peraltro  osservato  che,  ai  sensi
dell'art. 56 co. 3 del d.P.R. 115/02, i compensi degli ausiliari  del
perito costituiscono una spesa la cui entita' va  «determinata  sulla
base delle tabelle di cui all'art. 50» del citato  d.P.R.  115/02,  e
quindi nell'ambito della stessa forbice tra minimi e massimi prevista
dal citato art. 24 del D.M. 30.05.2002; conseguentemente va  ritenuto
che il compenso dell'ausiliario possa essere riconosciuto, come spesa
autorizzata, nei limiti di euro 150,00, per ovvie ed evidenti ragioni
di proporzionalita' rispetto al compenso riconosciuto al perito. 
    Va quindi rilevato che il compenso spettante al  perito  (se  non
anche quello  liquidabile  a  titolo  di  spesa  giusta  il  richiamo
all'art. 50 d.P.R. 115/02 contenuto nell'art. 56 dello stesso d.P.R.,
e la conseguente evocazione di una disciplina unitaria dei criteri di
liquidazione dei compensi al perito e delle spese liquidabili ai suoi
ausiliari) va ulteriormente ridotta di 1/3:  sulla  disciplina  sopra
descritta opera infatti, con effetti  sensibilmente  riduttivi  degli
importi da liquidarsi, l'art. 106-bis del d.P.R.  115/02,  introdotto
dal comma 606 lett. b) dell'art. l della  L.  147/2013,  c.d.  «legge
stabilita'» per il 2014,  che  prevede  la  riduzione  di  1/3  degli
onorari spettanti ai difensori, ai custodi,  ai  consulenti  nominati
dal Giudice e dalle parti ed agli altri ausiliari del giudice:  norma
che, ai sensi dell'art. 1 co. 607 della  L.  147/2013,  va  applicata
anche retroattivamente, a tutte le liquidazioni  non  ancora  operate
dal Giudice alla data di entrata in vigore  della  legge.  Nonostante
quindi la maggior  parte  delle  operazioni  peritali  (tutte  tranne
l'esame dibattimentale del perito) sia stata portata a termine  prima
dell'entrata in vigore della L. n. 147/2013, la stessa e' applicabile
anche a tale caso, ai sensi del citato comma 607  dell'art.  l  della
suddetta legge. 
    L'imputato e' stato ammesso al beneficio a spese dello Stato  con
decreto emesso da questo Tribunale in data 13.12.2012 e  pertanto  al
presente caso e'  senz'altro  applicabile  la  nuova  norma,  la  cui
collocazione  si  pone  nel  capo  V  del  d.P.R.  115/02,   relativo
all'ammissione al patrocinio  a  spese  dello  Stato  (sebbene  possa
legittimamente ritenersi che la norma abbia  portata  generale  anche
nei giudizi in cui non vi e' stata ammissione al patrocinio  a  spese
dello Stato, non avendo senso ipotizzare  che  il  Legislatore  abbia
voluto introdurre una  disposizione  che  comporti  un'ingiustificata
disparita'  di  trattamento  economico  dell'ausiliario   per   fatto
assolutamente indipendente dalla sua  volonta'  e  ininfluente  sulle
caratteristiche della sua prestazione, e cioe' essere  stata  o  meno
una delle parti ammessa al patrocinio a spese dello Stato). 
B. Contrasto degli articoli 106-bis d.P.R. 115/02 e 1 co.  607  legge
147/2013 con gli articoli 3, 53, 36 Cost. 
    Va  quindi  osservato  che  la  riduzione  di  1/3  dei  compensi
spettanti al perito, introdotta dalla norma in  oggetto,  non  appare
giustificabile con la natura pubblicistica dell'incarico, atteso  che
la decurtazione introdotta dall'art.  106-bis  d.P.R.  115/02  va  ad
operare su di un sistema tariffario che, ai sensi dell'art. 50 d.P.R.
medesimo, gia' e' impostato con decreti  ministeriali  che  mitighino
l'onere dei tariffari professionali contemperandoli con  la  suddetta
natura pubblicistica dell'incarico, pervenendo alla determinazione di
un impianto indennitario talora di modesta entita' economica, laddove
si tenga conto di come la prestazione professionale del  perito  (nel
caso concreto, consistente nella acquisizione di  atti  e  documenti,
accessi in cancelleria, esecuzione di visite diagnostiche,  redazione
di  una  relazione  sugli  esiti  delle  stesse,  esposizione   orale
nell'esame dibattimentale) sia piu'  complessa  ed  articolata  della
classica prestazione diagnostica del  professionista  che  riceva  un
paziente nel proprio studio professionale. 
B.1 Il contrasto dell'art. 1 co. 607 legge 147/2013  con  i  principi
costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 della Costituzione. 
    A parere del Tribunale, appare non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale  -  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 53 e  36  della  Costituzione  -  dell'art.  106-bis  d.P.R.
115/02, nella parte in cui  prevede  la  decurtazione  degli  onorari
spettanti al perito, nonche' - per contrasto con gli  artt.  3  e  53
della Costituzione - dell'attuale  disciplina,  nella  parte  in  cui
prevede l'applicazione del citato art. 106-bis d.P.R.  115/02  e  del
conseguente nuovo tariffario - come risultante dalla riduzione di 1/3
degli onorari risultanti  dalla  previgente  disciplina  -  ai  sensi
dell'art. l co. 607 della legge 147/2013, anche alla liquidazione  di
prestazioni  peritali  gia'  operate  nel  vigore  della   precedente
normativa, ma ancora non liquidate dal giudice. 
    Va in primo luogo ritenuta la natura di  decisione,  a  carattere
giurisdizionale,  del  provvedimento  di  liquidazione  del  compenso
dell'ausiliario emesso dal Giudice, come gia'  ritenuto  dalla  Corte
Costituzionale con la sentenza n.  88  del  1970;  ne  consegue  che,
nonostante  la   apparente   natura   amministrativa   dell'atto   di
liquidazione,  appartenendo  pero'  questo  pur  sempre  al   giudice
nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali,  tanto  da  essere
previsto gia' dall'art.  232  del  cpp,  esso  ha  legalmente  natura
giurisdizionale, e l'autorita' che e' chiamato ad emetterlo e' quindi
«Giudice» nel senso previsto dall'art. 1 della  L.  Cost.  n.  l  del
1948, sicche' la  questione  di  costituzionalita'  delle  leggi  che
disciplinano l'atto di liquidazione e'  conseguentemente  sollevabile
d'ufficio dal Giudice ai sensi del citato 1 della L. Cost. n.  1  del
1948. 
B.2 Contrasto dell'art. 1 co. 607 legge 147/13 con l'art. 3 Cost. 
    Come si e' anticipato, la norma  in  oggetto  opera  con  effetti
retroattivi, atteso che si applica non solo per il futuro,  ma  anche
per  il  passato,  concorrendo  a  determinare  l'entita'   monetaria
dell'indennita' da liquidarsi anche agli ausiliari  del  giudice  che
abbiano gia' prestato - in tutto o in parte (nel  caso  presente,  la
maggior  parte)  -  la  propria  opera  ed  esaurito  l'ufficio  loro
affidato; e  tale  modifica,  come  si  e'  detto,  opera  in  peius,
introducendo la riduzione di 1/3 di quanto altrimenti  sarebbe  stato
loro liquidato nel vigore della normativa esistente  nel  momento  in
cui e' stato loro affidato l'incarico di ausiliario del giudice. 
    Invero, va in primo luogo escluso che il complesso  di  norme  di
cui agli artt. 50 segg,, 106-bis d.P.R. 115/02, 24  D.M.  30.05.2002,
abbia natura processuale e soggiaccia pertanto al  principio  secondo
cui «tempus regit actum»; invece, le norme surrichiamate, concorrendo
a determinare non solo le modalita' procedimentali con cui si procede
al  pagamento  dell'ausiliario,  ma  anche  alla  determinazione  del
quantum da pagarsi, hanno  evidente  natura  sostanziale,  in  quanto
determinano (analogamente ai decreti ministeriali che stabiliscono  i
tariffari forensi per quel che riguarda la liquidazione degli onorari
ai difensori di imputati ammessi al patrocinio a spese  dello  Stato)
il contenuto stesso del diritto  economico  spettante  all'ausiliario
del Giudice. 
    Cio' posto, ne emerge un delicato problema di compatibilita'  con
il principio di eguaglianza, in quanto ne deriva la sottoposizione  a
diverso trattamento  economico  dei  periti  che  abbiano  svolto  la
medesima prestazione, a seconda che, anche senza nessuna  loro  colpa
ma per  semplice  difficolta'  di  alcuni  dei  giudici  ad  esaurire
rapidamente tutte le operazioni  di  liquidazione,  le  loro  istanze
siano gia' state evase, o meno. 
    Una legge retroattiva, di per se', pone poi problemi di  rispetto
dell'art.  3  Cost.  introducendo  il   rischio   di   ingiustificate
disparita' di trattamento tra consociati, sia che siano parte  di  un
rapporto di cui  mutino  la  natura,  o  l'oggetto  ed  il  contenuto
concreto, per effetto della norma retroattiva, venendo cosi  alterato
l'equilibrio del rapporto come concordato tra le parti  (con  lesione
altresi' dell'art. 41 Cost.  che,  tutelando  l'iniziativa  economica
privata,  e'  altresi'  fondamento   del   principio   dell'autonomia
contrattuale, senza la quale non puo' esservi liberta' di  iniziativa
economica), sia che -  non  intervenendo  su  situazioni  interamente
esaurite (come nel caso in oggetto, in cui  non  sono  interessati  i
provvedimenti di liquidazione gia' emessi) - disciplini  diversamente
il diritto di soggetti nella stessa situazione. 
    La  Corte  Costituzionale  ha  gia'  affrontato  il  tema   della
legittimita'   costituzionale   delle   leggi    retroattive;    pur,
condivisibilmente, rilevando la natura non  costituzionale  dell'art.
11 delle preleggi (che appunto dispone che la legge disponga solo per
l'avvenire),  ha  comunque  evidenziato  dei   principi   di   ordine
costituzionale che limitano  i  casi  in  cui  il  Legislatore  possa
emettere leggi con efficacia retroattiva. 
    In particolare, codesto Giudice delle leggi ha statuito,  con  la
sentenza  n.  0092  del  2013,  la  «l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 38, commi 2, 4, 6 e  10,  del  decreto-legge  30  settembre
2003, n. 269, - convertito dalla legge  24  novembre  2003,  n.  326,
nella parte in cui riconosce al custode  giudiziario  di  autoveicoli
sottoposti al fermo amministrativo, con effetto retroattivo, compensi
inferiori rispetto a quelli previgenti, per violazione del  principio
di   ragionevolezza».   Osservava   infatti   la   Corte   come   «la
giurisprudenza di questa Corte si sia  piu'  volte  soffermata  sulla
legittimita'  delle  norme  retroattive,  in  genere,  e  di   quelle
destinate ad incidere sui rapporti di durata, in specie;  affermando,
in sintesi, che non  puo'  ritenersi  interdetto  al  legislatore  di
emanare disposizioni modificative  in  senso  sfavorevole,  anche  se
l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi
«perfetti»: cio', peraltro, alla condizione che tali disposizioni non
trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con  riguardo
a situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento  fondamentale  dello  Stato  di  diritto  (ex  multis,
sentenza n. 166 del 2012). 
    Infatti, pur se non puo' ritenersi interdetto al  legislatore  di
emanare disposizioni modificative in senso sfavorevole,  e  anche  se
l'oggetto dei rapporti di durata sia costituito da diritti soggettivi
«perfetti», nel caso di specie  viene  in  risalto  non  soltanto  un
«generico» affidamento in un quadro normativo dal quale  scaturiscano
determinati diritti, ma uno «specifico» affidamento in un  fascio  di
situazioni  (giuridiche  ed  economiche)  iscritte  in  un   rapporto
convenzionale regolato iure privatorum tra pubblica amministrazione e
titolari di aziende di deposito di  vetture,  secondo  una  specifica
disciplina in ossequio alla quale le parti (entrambe le parti)  hanno
raggiunto l'accordo e assunto le rispettive obbligazioni. Il rapporto
tra depositario e amministrazione e' risultato, pertanto, in itinere,
stravolto in alcuni  dei  suoi  elementi  essenziali,  al  di  fuori,
peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o
di accordo e, anzi, con  l'imposizione  di  oneri  non  previsti  ne'
prevedibili, ne' all'origine ne' in costanza del  rapporto  medesimo;
al punto da potersi escludere che, al di la' delle  reali  intenzioni
del  legislatore,  sia  stato  operato  un   effettivo   e   adeguato
bilanciamento tra le esigenze contrapposte.». 
    Sempre la Corte Costituzionale, con  la  richiamata  sentenza  n.
166/2012,  aveva  osservato  il  principio   dell'affidamento   nella
sicurezza giuridica delle situazioni soggettive «trova  si  copertura
costituzionale nell'art. 3 Cost., ma non gia' in termini  assoluti  e
inderogabili. Da un lato, infatti, la fiducia  nella  permanenza  nel
tempo di un determinato assetto regolatorio  dev'essere  consolidata,
dall'altro,  l'intervento  normativo  incidente  su  di   esso   deve
risultare sproporzionato. Con la conseguenza che non e' interdetto al
legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare  in
senso sfavorevole per i beneficiari la  disciplina  dei  rapporti  di
durata, anche se  l'oggetto  di  questi  sia  costituito  da  diritti
soggettivi perfetti, unica condizione essendo che  tali  disposizioni
non  trasmodino  in  un  regolamento  irrazionale,  frustrando,   con
riguardo a situazioni sostanziali  fondate  sulle  leggi  precedenti,
l'affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da  intendersi
quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. 
    Analoghi principi risultano affermati anche nella  sentenza  num.
0271 del 2011, in cui egualmente si rimarcava l'illegittimita' di una
normativa che intervenisse  retroattivamente  su  di  una  disciplina
pubblicistica (nel caso, quella che disciplinava l'entita'  monetaria
del trattamento di buonuscita dei dipendenti della  Regione  Calabria
in caso di risoluzione consensuale del trattamento di lavoro) su  cui
avessero fatto ragionevole affidamento i cittadini nel compiere  loro
scelte negoziali (anche di particolare rilievo, nel caso concreto). 
    Questo giudicante osserva quindi che, dalle menzionate  sentenze,
possano trarsi  i  seguenti  principi,  risultanti  esplicitamente  o
implicitamente dalle statuizioni dalla Corte Costituzionale: 
    a)  l'art.  3  della  Costituzione   tutela   l'affidamento   dei
consociati in  ordine  alla  immutabilita'  del  contenuto  dei  loro
diritti sorti sotto il vigore di una previgente  disciplina,  essendo
peraltro la sicurezza del contenuto delle  situazioni  giuridiche  un
elemento fondamentale dello Stato di diritto; 
    b) tale immutabilita' e' peraltro relativa, potendo  essa  cedere
di  fronte  alla  necessita'  del  Legislatore  di  operare   diversi
contemperamenti  degli  interessi  coinvolti,  purche'  la  soluzione
operata sia ragionevole anche in relazione al rango ed al  grado  dei
principi costituzionali interessati; 
    c) tanto vale in specie per le norme che vadano ad  incidere  sui
rapporti di durata, in relazione ai quali, in  particolare,  si  puo'
porre la necessita'  di  operare  un  diverso  contemperamento  degli
interessi coinvolti di fronte al mutare delle  condizioni  sociali  e
storiche e delle connesse mutevoli esigenze della convivenza; 
    d) lo stesso e' a dirsi quanto a quelle situazioni in  cui  venga
«in risalto non soltanto  un  "generico"  affidamento  in  un  quadro
normativo  dal  quale  scaturiscano  determinati  diritti,   ma   uno
"specifico" affidamento in un fascio  di  situazioni  (giuridiche  ed
economiche) iscritte  in  un  rapporto  convenzionale  regolato  iure
privatorum tra pubblica amministrazione e privati. 
    E' bene quindi osservare che la Corte non ha affermato, ed appare
anzi negare, la legittimita' costituzionale  di  una  disciplina  che
venga ad  intervenire,  in  senso  sfavorevole  al  destinatario,  in
relazione ad una situazione che non attenga ad un rapporto di durata,
ma ad un normale rapporto in cui una parte abbia gia' adempiuto  (per
la maggior parte) ai propri  obblighi,  e  sia  l'altra,  non  ancora
adempiente, che si veda beneficiaria  di  una  norma  di  particolare
favore che riduca l'entita' della propria obbligazione, in assenza di
qualsiasi  giustificazione  razionale  alla  luce   degli   interessi
coinvolti. 
    Ed invero, puo' senz'altro  escludersi  che  a  fondamento  della
disposizione di cui all'art. 1 co.  607  della  L.  147/2013  possano
porsi ragioni in alcun modo connesse a necessita'  di  ricondurre  ad
equita' un rapporto eventualmente squilibrato in favore  della  parte
gia' adempiente: e' vero, infatti, semmai il contrario, posto che  il
diritto economico dell'ausiliario  del  giudice  e'  determinato  dal
contenuto  di  una  normativa  (art.  4  della  L.  n.  319/80;  D.M.
30.05.2002) la quale, a norma di quanto  previsto  dall'art.  54  del
d.P.R.  115/02,  avrebbe  dovuto  essere   periodicamente   (per   la
precisione, ogni tre anni) rivista  per  adeguarla  al  mutato  costo
della vita, laddove invece non e' mai stata  assoggettata  ad  alcuna
rivisitazione dal 2002 ad oggi: quindi da  dodici  anni,  in  cui  il
Legislatore ha omesso ben 4 rivisitazioni  periodiche,  le  «tariffe»
relative  alle  indennita'  spettanti  agli  ausiliari  del   giudice
subiscono la non indifferente erosione  del  loro  valore  legato  al
costante aumento dei prezzi, sicche' sarebbe un evidente  controsenso
economico e logico sottoporle ad un'ulteriore riduzione ope legis sul
presupposto della loro «esosita'». 
    Ne' valga osservare che la Corte abbia fatto riferimento a  leggi
che intervengano su rapporti di natura negoziale,  perche'  cio'  non
vale ad escludere, di per  se',  la  pregnanza  delle  argomentazioni
svolte nelle due citate sentenze anche con  riferimento  al  caso  in
oggetto. 
    Invero, la Corte ha inteso affermare come debba essere  garantita
la sicurezza dei consociati in ordine ai rapporti consolidati, e come
sarebbe  ingiusta  e  foriera  di  disparita'  di   trattamento   una
disciplina che intervenisse a mutare irragionevolmente i rapporti tra
le parti: il che normalmente - ma non necessariamente  -  implica  un
rapporto di natura negoziale, pur  potendosi  facilmente  determinare
casi in cui, al di fuori dello schema del negozio giuridico,  vengano
a realizzarsi dei rapporti il cui  sorgere  ed  articolarsi  comunque
poggi   sull'affidamento   in   una   determinata    regolamentazione
suscettibile di miglioramenti ma non di peggioramenti: il che appunto
riguarda il caso dei compensi stabiliti per gli ausiliari. 
    Ed invero, pur essendo  quello  dell'ausiliario  del  giudice  un
ufficio legalmente dovuto, e che quindi non puo'  essere  liberamente
rifiutato, e' bene osservare come il conferimento  di  detto  ufficio
non prescinda totalmente dalla volonta' del nominando, posto  che  il
giudice e' tenuto a nominare, in via ordinaria,  i  propri  periti  o
ausiliari scegliendo  nell'ambito  dei  soggetti  che  -  su  propria
domanda - siano iscritti  negli  appositi  albi  tenuti  presso  ogni
Tribunale (cfr. artt. 221 cpp e 67  segg.  disp.  att.  cpp);  ed  il
singolo professionista, deve ritenersi, si determinera' o  meno  alla
presentazione della domanda di iscrizione nell'albo, anche in ragione
delle  sue   valutazioni   sulla   convenienza   economica   o   meno
dell'assunzione dell'ufficio di ausiliario: convenienza che  discende
dalla  normativa  esistente,  e  di  cui  e'  previsto  tra   l'altro
l'adeguamento periodico agli incrementi del costo della vita. 
    Di fatto, pertanto, pur non instaurandosi un rapporto  di  natura
negoziale tra ausiliario del Giudice e Stato, non puo' negarsi che al
conferimento  dell'incarico  peritale  ad  un  determinato   soggetto
concorre la manifestazione originaria di volonta' da  questi  operata
alla  disponibilita'  all'incarico,  manifestata   con   l'iscrizione
nell'albo dei periti; questa volonta' e'  orientata  dall'affidamento
in un determinato sistema normativo; un mutamento in peius  di  detto
sistema non puo' non assumere rilevanza, specie qualora esso venga ad
applicarsi, addirittura, ad un rapporto gia'  per  la  maggior  parte
compiutosi e di cui e' in  sospeso,  in  pratica  (stante  la  usuale
marginalita' -  dal  punto  di  vista  dell'impegno  professionale  e
dell'esame  dibattimentale  del  perito),  solo  l'adempimento  degli
obblighi di una delle parti (quella stessa parte - e  cio'  non  puo'
non assumere rilievo, amplificando  la  misura  della  disparita'  di
trattamento - che modifica le norme a suo favore). 
    Deve  pertanto  essere   qui   sollevata   la   questione   della
illegittimita' costituzionale della norma di cui all'art. l  co.  607
della L. 147/2013, che e' rilevante trattandosi di norma  che  questo
Giudice e' chiamato ad applicare  al  fine  di  operare  la  presente
liquidazione, atteso  anche  che,  come  di  seguito  si  osservera',
l'applicazione retroattiva dell'art. 106-bis d.P.R. 115/02 non appare
essere  giustificabile  in  relazione   alla   natura   pubblicistica
dell'incarico ed alla sua obbligatorieta'. 
B.2 I  limiti  costituzionali  alla  pretensibilita'  di  prestazioni
patrimoniali o personali ai sensi degli artt. 2 e 23 Cost. 
    Invero, occorre in primo luogo ricordare che l'interprete  ed  il
perito hanno l'obbligo giuridico (artt. 143 co. 4 e 221 co.  3  cpp),
sotto pena di legge in caso di rifiuto (art. 366 c.p.) di prestare la
propria opera, che ha - da un punto di vista oggettivo ed  ontologico
- indubbiamente natura lavorativa, in quanto comporta  l'esplicazione
di energie intellettuali e/o  fisiche  esattamente  corrispondenti  a
quelle oggetto delle attivita'  di  specifiche  figure  professionali
normalmente operanti nel mercato del lavoro; il perito peraltro  puo'
rinunziare all'incarico solo per giustificato motivo, laddove in tale
concetto  senz'altro  non  puo'  farsi  rientrare  in  via   generale
l'inadeguatezza o  non  convenienza  dell'indennita'  prevista  dalla
legge, atteso che questa e' fissata con norma generale  e  fonderebbe
quindi per ogni perito un motivo atto a giustificare il rifiuto o  la
rinunzia  all'ufficio:  il  che  e'  contraddittorio  con  la  natura
dell'istituto, con l'obbligatorieta' dell'ufficio, e con la  evidente
natura straordinaria dei casi in cui all'ufficio si possa rinunziare. 
    Gli artt. 143 e 221 cpp prevedono  pertanto  ipotesi  in  cui  il
giudice impone a  determinati  soggetto  l'obbligo  di  eseguire  una
prestazione lavorativa, al di fuori di un rapporto contrattuale,  con
controprestazione    predeterminata    normativamente    in    misura
sostanzialmente indennitaria, poiche' ex art.  50  d.P.R.  115/02  le
tariffe professionali,  cui  pure  occorre  far  riferimento,  devono
essere contemperate con la natura pubblicistica dell'incarico. 
    La fonte della legittimita'  costituzionale  di  tale  disciplina
appare riposare nell'art. 23 Cost. che ammette  che  la  legge  possa
imporre  una  prestazione  personale,  oltre  che   patrimoniale;   e
nell'art. 2 Cost., che chiama i cittadini all'adempimento dei  doveri
di solidarieta' sociale, nel  cui  ambito  possono  senz'altro  farsi
rientrare le ipotesi di occasionale in forza di un obbligo scaturente
dalla legge. 
    Sebbene non espressamente previsto dalla due norme teste' citate,
deve ritenersi che nell'impianto costituzionale sia  comunque  insito
un limite di ragionevolezza alle prestazioni che possono richiedersi. 
    Lo si evince dal rispetto che la carta Costituzionale  assegna  e
riconosce alla persona umana ed ai suoi diritti  inviolabili,  tra  i
quali senz'altro rientra - aspetto generale dei diritti  di  liberta'
personale - quello di scegliere come disporre del proprio tempo ed il
diritto a non essere assoggettati, neppure ad opera  dello  Stato,  a
forme di sfruttamento della propria opera  lavorativa  (cfr.  proprio
l'art. 2  Cost.;  ma  anche  l'art.  36  Cost.  nella  parte  in  cui
riconoscendo il diritto alle ferie retribuite ed ad un orario massimo
di lavoro, tutela anche il diritto al tempo  libero);  lo  si  evince
dalla principale norma in tema di prestazioni patrimoniali, l'art. 53
Cost., che commisura i doveri fiscali alla capacita' contributiva; lo
si  evince  dalla   tutela   accordata   alla   proprieta'   privata,
espropriabile - giusta la previsione di cui all'art. 42 co. 3 Cost. -
solo  per  ragioni  di  pubblico  interesse  e   dietro   indennizzo:
indennizzo che, nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve
avere  le  caratteristiche  di  un  serio   ristoro   della   perdita
patrimoniale subita, e non un carattere irrisorio o simbolico  (cfr.,
ad es., la sentenza n. 38/2011 della Corte Costituzionale). 
    Invero, gli artt. 2 e 23 Cost., pur legittimando i casi in cui al
cittadino la legge richieda l'adempimento di doveri di  solidarieta',
e finanche la corresponsione  di  prestazioni  di  natura  personale,
vivono pur sempre nel contesto di altri principi  costituzionali  coi
quali vanno coordinati, ed in primis gli artt. 35, 36 e 3 Cost.,  che
impongono dei limiti al  sacrificio  che  la  legge  ordinaria  possa
imporre al cittadino: limiti che sono sia  di  ragionevolezza  -  per
evitare marcate situazioni di disparita'  di  trattamento  con  altri
cittadini lavoratori chiamati a rendere prestazioni analoghe - che di
entita' economica, per evitare che  una  prestazione  lavorativa  sia
retribuita  in  maniera  tale  da  mortificare  la  sua   natura   di
riconoscimento del valore della prestazione lavorativa e di strumento
di dignitoso sostentamento dell'individuo e della sua famiglia. 
    Tanto premesso, va invece rilevato che la vigente disciplina  del
trattamento economico degli ausiliari  del  giudice  vede  periti  ed
interpreti, in relazione ad un ufficio  al  quale  sono  chiamati  in
adempimento di doveri sociali ed al quale non  possono  sottrarsi  se
non per giustificato motivo (e  senz'altro  non  per  ragioni  legate
esclusivamente alla  scarsa  remunerazione  dell'incarico),  ricevere
emolumenti  che,  per  effetto  della  decurtazione  di  1/3  operata
dall'art.  106-bis   d.P.R.   115/02,   per   di   piu'   applicabile
retroattivamente ex art. l co. 607 L. 147/2013, in un contesto in cui
da dodici anni l'Esecutivo omette gli adeguamenti  periodici  imposti
dalla legge, appaiono essere assolutamente inidonei  a  garantire  il
rispetto del principio di ragionevolezza che deve mitigare l'onere ad
essi  imposto  e  inadatti  a  fungere  da  serio  ristoro   rispetto
all'impegno loro richiesto ed  alla  vera  e  propria  espropriazione
delle loro energie lavorative e del loro tempo. 
B.3 Contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. 
    Alla stregua delle riflessioni appena  svolte,  e  considerandosi
quindi lo squilibrio che la decurtazione  operata  dall'art.  106-bis
d.P.R. 115/02 produce  tra  ragioni  della  collettivita'  a  potersi
avvalere,   nell'amministrazione    della    giustizia,    dell'opera
occasionale di specialisti per l'accertamento dei fatti, e le ragioni
del singolo a non vedersi caricato di oneri irragionevoli, non appare
manifestamente infondata  neanche  la  questione  della  legittimita'
costituzionale dello stesso art. 106-bis d.P.R. 115/02  in  se'  -  e
cioe',  a  prescindere  da  ogni  questione  in  ordine  ad  una  sua
applicazione retroattiva - per contrasto con l'art.  36  Cost.  -  in
quanto viene a garantire ai periti ed agli ausiliari del  Giudice  un
compenso irragionevolmente inferiore rispetto a  quello  che  sarebbe
loro spettato a parita' di condizioni  rispetto  ad  una  prestazione
remunerata sul mercato privato. 
    Inoltre, intervenendo la decurtazione  di  cui  all'art.  106-bis
d.P.R. 115/02 su di un sistema che, per contro, avrebbe dovuto essere
adeguato «al rialzo» per tener conto delle variazioni del  potere  di
acquisto,  non  solo  ne  appare  rafforzata  l'irragionevolezza  del
sistema - e quindi la violazione dell'art. 3 Cost. - ma appare  porsi
anche un problema di violazione dell'art. 36 Cost. 
    Ed  invero,  ai  sensi  dell'art.  36  della  Costituzione,  alla
prestazione  di  ogni  attivita'  lavorativa  deve  corrispondere  la
controprestazione di una retribuzione: 
    a) proporzionata alla qualita' e quantita' del suo lavoro; 
    b)  sufficiente  ad  assicurare  a  se'  ed  alla  sua   famiglia
un'esistenza libera e dignitosa. 
    Le riflessioni sinora svolta  evidenziano  come  tali  condizioni
possano non essere soddisfatte dalla vigente  normativa,  configgente
con la necessita' - gia' valutata e ritenuta dal Legislatore ex  art.
54 d.P.R. 115/02 - che la remunerazione prevista per  periti  venisse
periodicamente    aggiornata    per    tutelarla    dagli     effetti
dell'inflazione,  nella  consapevolezza  che,  altrimenti,  il   loro
trattamento economico sarebbe divenuto inadeguato. 
    Valgano le ulteriori riflessioni che seguono. 
B.3.a. La precedente giurisprudenza della Corte. 
    Questo Tribunale non ignora che la Corte Costituzionale,  con  la
sentenza n. 41 del 1996, richiamando quanto  gia'  affermato  con  la
sentenza n. 88 del 1970, ha gia' affrontato - negandone la fondatezza
- la questione della compatibilita' dell'art. 4 della L. 319/80  (che
disciplina sistema della remunerazione a vacazioni,  unita'  biorarie
di misura della prestazione peritale) con l'art.  36  Cost.,  negando
che tale ultima norma potesse assurgere a  parametro  di  riferimento
della  legittimita'  costituzionale  delle  norme  disciplinanti   la
remunerazione spettante agli ausiliari del giudice. 
    In detta occasione la Corte ebbe ad affermare di aver «gia' avuto
occasione (sentenza n. 88 del 1970) di osservare che l'art. 36  della
Costituzione «e' male addotto, innanzitutto perche' il lavoro  svolto
dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta  a  rientrare  in  uno
schema che involga un necessario e logico confronto tra prestazioni e
retribuzione  e  quindi  un  qualsiasi  giudizio  sull'adeguatezza  e
sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo luogo,  perche'  non  c'e'
modo di valutare in che misura quel lavoro giochi  nella  complessiva
attivita' di coloro che in concreto lo svolgono e come i compensi per
le relative operazioni (a parte  l'impossibilita'  o  difficolta'  di
coglierne la totale entita') concorrano alla  formazione  dell'intero
reddito professionale del singolo prestatore». 
    Nella richiamata decisione la Corte  concludeva  affermando  che:
«La situazione in cui si trovano i consulenti d'ufficio, e che non e'
dissimile da quella delle categorie dei periti,  degli  interpreti  e
dei traduttori, potrebbe anche apparire tale da suggerire  iniziative
o modifiche sul terreno legislativo nel rispetto  delle  esigenze  di
carattere  pubblico  e  privato  concorrenti  nello  svolgimento  del
processo civile. Ma essa non conduce, a proposito delle norme che  la
comportano, ad alcuna violazione dell'art. 36, comma primo». 
    7. Puo' solo aggiungersi che il  riferimento  fatto  dall'art.  2
della legge n. 319 del  1980  alle  tariffe  professionali  non  puo'
qualificarsi   come   rinvio   recettizio,   ma   rappresenta    solo
l'indicazione  di  un  possibile,   non   tassativo,   parametro   di
liquidazione, limitatamente comunque agli onorari fissi e variabili e
sempre con  il  contemperamento  dovuto  alla  «natura  pubblicistica
dell'incarico». 
    Conclusivamente, questa Corte non puo' non  rinnovare  l'auspicio
che - in attesa di norme migliori - le autorita' indicate dalla legge
impugnata  provvedano  a  rispettare   le   scadenze   triennali   di
adeguamento dei compensi dovuti in  base  alle  variazioni  accertate
dall'ISTAT.» 
B.3.b Novita' normative e sociali -  Le  ragioni  di  una  necessaria
rimeditazione della questione. 
    Ritiene tuttavia, il tribunale che, a  distanza  di  quasi  venti
anni dall'ultima di tali pronunzie (ed a piu'  di  40  dalla  prima),
possa e debba accedersi ad una rimeditazione della  costituzionalita'
della normativa citata, sia alla luce dell'art. 36  Cost.,  sia  alla
luce dell'art. 3 Cost., che qui si evoca sotto profili anche  diversi
da quelli  considerati  nella  predette  sentenze  della  Corte  (che
riguardavano principalmente il raffronto tra onorari  a  vacazione  e
onorari tabellari), essendo nel frattempo mutate alcune  delle  norme
di riferimento, entrato in vigore ed a pieno regime il  nuovo  codice
di  procedura  penale  che  -  esaltando  la  fase  dibattimentale  -
amplifica il numero dei casi in cui occorre  ricorrere  ad  ausiliari
come periti ed interpreti  (e  quindi  anche  l'impegno  richiesto  a
questi ultimi), e per contro perdurando la  ingiustificata  omissione
dei provvedimenti di adeguamento del corrispettivo delle vacazioni ai
meccanismi inflattivi; devono  inoltre  considerati  altresi'  taluni
spunti di riflessione rinvenibili anche nella  stessa  giurisprudenza
della stessa Corte Costituzionale, sia possibile e doverosa. 
    Come si e' osservato, la Corte ha gia' affrontato, negandolo,  il
tema  della  riconducibilita'  dell'attivita'  prestata  dal   perito
all'art. 36 Cost.; ma lo ha fatto  con  due  sentenze  molto  datate,
l'una del 1970, l'altra del 1996, e quindi risalenti non solo ad  una
diversa epoca di evoluzione del pensiero giuridico, ma anche  ad  una
diversa realta' sociale e processuale, atteso  che  nel  1970  vigeva
ancora il vecchio codice di procedura penale, e nel 1996  questo  non
aveva ancora dieci anni di vita. 
    Invero, nel vigore del previgente codice di  procedura  penale  e
nei primi anni di applicazione di quello attualmente vigente;  e  nel
contesto di  fenomeni  migratori  piu'  modesti  di  quelli  attuali,
l'essere chiamati ad assolvere ad un pubblico ufficio peritale  o  di
interprete/traduttore  era  un'evenienza   del   tutto   isolata   ed
occasionale, e pertanto inidonea a tradursi in pesi gravosi a  carico
di una cerchia determinata di soggetti; l'assoluta sporadicita' della
necessita'  di  conferire  l'incarico  di  ausiliario  del   giudice,
permetteva che, ove distribuito su di un numero adeguato di soggetti,
esso non assumesse carattere di gravosita'. 
    Profondamente mutata e', invece, la situazione attuale, in cui la
necessita' di nominare ausiliari quali periti o  interpreti  ha  oggi
invece  assunto  (e  tanto  piu'  assumera',   per   i   compiti   di
interpretariato  e  traduzione,  alla  stregua  degli   obblighi   di
traduzione imposti dal d.lvo n. 32/2014) una notevolissima  frequenza
statistica, che comporta che numerosi soggetti, a  causa  delle  loro
specifiche competenze professionali,  siano  frequentemente  distolti
dalle  (ed  impediti  alle)  loro  ordinarie  occupazioni  lavorative
venendo chiamati ad assolvere l'ufficio di  perito.  Il  fenomeno  ha
dimensioni tali che non e' affatto raro che alcuni di  tali  soggetti
si siano  specificamente  attrezzati,  acquistando  macchinari  anche
sofisticati, per far fronte alle richieste della macchina giudiziaria
(si pensi agli  psichiatri  e  psicologi  chiamati  a  verificare  la
capacita' dell'imputato di partecipare  coscientemente  al  processo,
adempimento non previsto dal previgente  codice  di  rito  e  la  cui
frequenza statistica, invece, va aumentando con  l'accrescersi  della
sensibilita' giudiziaria alle ipotesi in cui patologie  anche  minori
possano - senza escludere la capacita' di intendere  e  di  volere  -
incidere sensibilmente sulla possibilita' per l'imputato  di  esporre
una propria linea difensiva,  spiegare  i  fatti,  le  ragioni  della
propria condotta, le convinzioni che la ressero; si pensi  ai  periti
fonici, chiamati a verificare la paternita' di una  voce  carpita  in
un'intercettazione; si  pensi  ai  soggetti  chiamati  a  trascrivere
intercettazioni  in  lingua  straniera,  specie  nella   fase   delle
indagini, in cui  le  necessita'  di  riservatezza  connotano  di  un
intuibile rapporto fiduciario la scelta  del  c.t.,  che  tendera'  a
ricadere su di un numero limitato di soggetti; si pensi,  ancora,  al
periti   grafologi   chiamati   a   verificare   nel   dettaglio   le
caratteristiche di una grafia,  il  tipo  di  inchiostro  utilizzato,
l'epoca ed il tipo della carta sui cui e' vergato un testo; ecc.). 
    La  diffusione  dei  casi  in  cui  l'A.G.  abbia  necessita'  di
ricorrere all'opera di ausiliari, ed in  particolare  di  periti,  e'
infatti   divenuta   particolarmente   considerevole   parallelamente
all'evolvere della tecnologia e delle scienze (che aumenta i casi  in
cui possa o debba farsi ricorso a valutazioni scientifiche o tecniche
nella acquisizione e valutazione della prova) e dei fenomeni  sociali
legati all'accentuazione  dei  movimenti  transazionali  dl  merci  e
persone (che, ad es., comporta un crescente bisogno di  ricorrere  ad
interpreti e traduttori), nonche'  alla  stesse  caratteristiche  del
nuovo codice di procedura penale che, accentrando nel dibattimento la
formazione della prova,  comporta  frequentemente  la  necessita'  di
reiterare in contraddittorio tra le  parti  -  cui  spetta  anche  la
facolta' di nominare cc.tt. ex art. 225 cpp, facolta' che,  ai  sensi
dell'art. 233 cpp, possono esercitare anche fuori dei casi di perizia
- quegli accertamenti tecnici che, col  vecchio  rito,  erano  spessi
limitati alla sola  fase  di  indagine,  e  che,  per  il  regime  di
incompatibilita' previsto dagli artt. 144 co. 1 lett. d) e 222  lett.
d) ed e) cpp, non possono, nel giudizio, essere affidati agli  stessi
soggetti che gia' li abbiano eseguiti nella fase delle indagini. 
    Si sono cosi' moltiplicati enormemente  sia  i  casi  in  cui  e'
necessario ricorrere all'opera di un esperto, sia - anche per effetto
del descritto meccanismo delle incompatibilita'  -  il  numero  degli
esperti  cui  e'  necessario  ricorrere  nell'ambito   dello   stesso
processo; conseguentemente, il numero di uffici legalmente  dovuti  -
che si riversa e concentra sulla platea dei soggetti  iscritti  negli
appositi albi cui e' possibile  rivolgersi  ex  art.  221  cpp  -  e'
enormemente aumentato,  al  punto  che  molti  di  loro  ne  traggono
notevoli limitazioni alle possibilita' di esercizio  di  una  normale
attivita' lavorativa, e conseguentemente la prestazione di  attivita'
specialistiche   per   conto   dell'A.G.   ha   spesso   assunto   le
caratteristiche  di  un'attivita'  stabile  o  comunque  di  notevole
rilevanza nell'ambito della propria attivita' lavorativa  (evoluzione
favorita anche dal concentrarsi di taluni incarichi su di una cerchia
ristretta di soggetti, a causa del carattere fiduciario  che,  specie
in materia penale, detti incarichi talora assumono in relazione  alla
loro delicatezza; si pensi ad es. alle  ragioni  di  riservatezza  ed
affidabilita' inerenti  ai  compiti  di  traduzione  in  italiano  di
intercettazioni in corso di conversazioni in lingua straniera proprie
di comunita' piccole e coese ed in cui una eventuale fuga di  notizie
avrebbe effetti di immediata compromissione delle indagini). 
    Appaiono quindi superati, dall'evoluzione storica e  processuale,
gli argomenti spesi dalla Corte Costituzionale con le citate sentenze
nn. 88 del 1970 e n. 412/1996, allorche'  affermava  che  «il  lavoro
svolto dai consulenti tecnici d'ufficio non si presta a rientrare  in
uno  schema  che  involga  un  necessario  e  logico  confronto   tra
prestazioni  e  retribuzione   e   quindi   un   qualsiasi   giudizio
sull'adeguatezza e sufficienza di quest'ultima. Ed in secondo  luogo,
perche' non c'e' modo di valutare in che misura  quel  lavoro  giochi
nella complessiva attivita' di coloro che in concreto lo  svolgono  e
come i compensi per le relative operazioni (a parte  l'impossibilita'
o  difficolta'  di  coglierne  la  totale  entita')  concorrano  alla
formazione dell'intero reddito professionale del singolo  prestatore:
cio'  che  oggi  accade  e'  infatti  che  la  quantita'  di  impegno
continuamente  richiesto  agli  iscritti  negli  albi  dei  periti  e
traduttori e' tale  da  assumere  le  specifiche  caratteristiche  di
un'attivita' lavorativa se non prevalente, comunque tale da  incidere
notevolmente sulla loro possibilita' di dedicarsi in maniera proficua
e redditizia - in maniera  tale  da  garantire  loro  il  diritto  ad
un'esistenza dignitosa ai sensi dell'art. 36 della Costituzione -  ad
altre attivita'. 
    A tali soggetti, pertanto, appare necessario  che  le  indennita'
previste per gli ausiliari del giudice assumano un  valore  economico
adeguato ai fini  di  cui  all'art.  36  Cost.:  ed  in  cio'  appare
risiedere la ragione del riferimento,  operato  dall'art.  50  co.  2
d.P.R. 115/02, alle tariffe professionali, e la previsione - ex  art.
50 co. 4 del medesimo d.P.R. - di adeguamenti periodici in  relazione
all'andamento  del  tasso  di  inflazione.  Ma  questa   ragione   e'
illogicamente contraddetta dal menzionato art. 106-bis d.P.R. 115/02. 
    A conferma della natura tutt'altro  che  peregrina  del  richiamo
agli artt. 35 e 36 Cost. come norme poste  a  tutela  dell'opera  del
perito e della sua retribuzione, deve poi richiamarsi l'ordinanza  n.
306/2012   della   Corte   Costituzionale   che,   pur    dichiarando
manifestamente    infondata    la     questione     relativa     alla
incostituzionalita' dell'art. 71 d.P.R. 115/02 (norma che prevede  il
brevissimo termine di decadenza di 100 giorni  per  la  presentazione
della richiesta di liquidazione da parte del perito),  nel  ricordare
che «questa corte ha piu' volte ribadito la ampia discrezionalita' di
cui gode il legislatore nel fissare termini temporali per l'esercizio
dei diritti, anche laddove essi siano, come nel caso del diritto alla
retribuzione  per  il   lavoro   prestato,   sorretti   da   garanzia
costituzionale (sentenza n.  192  del  2005),  col  solo  limite  che
siffatto termine venga  determinato  in  modo  tale  da  non  rendere
effettivo  (ordinanza  n.  166  del  2006)   o   comunque   oltremodo
difficoltoso (ordinanza n. 382 del 2005) l'esercizio del diritto  cui
esso si riferisce», ha  significativamente  evocato  un  collegamento
assimilativo tra prestazione peritale e prestazione lavorativa. 
B.4 Contrasto con l'art. 53 Cost. 
    Il Legislatore, con gli artt. 106-bis d.P.R. 115/02, e 1 co.  607
della L. 147/2013  che  ne  impone  l'applicazione  retroattiva,  col
dichiarato scopo di operare risparmi di bilancio, ne scarica  l'onere
sulle categorie chiamate  a  svolgere  l'ufficio  di  ausiliario  del
giudice,  invece  di  ricorrere  alla  leva  fiscale,  nonostante  le
finalita' latu senso tributarie,  perche'  mirate  all'equilibrio  di
bilancio, chiaramente perseguite dalle norme in oggetto: di  talche',
la disposizione di cui all'art. 106-bis  d.P.R.  115/02  (tanto  piu'
nella sua applicazione retroattiva) appare porsi in  contrasto  anche
con l'art. 53 Cost., in  quanto  mirato  a  perseguire  finalita'  di
bilancio scaricandone, almeno in  parte,  il  costo  solo  su  alcune
categorie di lavoratori e senza alcun  riguardo  alla  loro  concreta
capacita' contributiva. 
    Poiche' per decidere l'entita' dell'onorario da  riconoscersi  al
perito istante questa A.G. e' tenuta ad applicare il menzionato  art.
106-bis d.P.R. 115/02, come introdotto dall'art. 1 co. 606  della  L.
147/2013, che nella sua cogente letteralita' non appare  suscettibile
di interpretazione  costituzionalmente  orientata,  la  questione  di
costituzionalita' che si va a proporre appare assolutamente rilevante
ai fini della  decisione,  e  deve  pertanto  necessariamente  essere
sollevata.